Negli ultimi anni, anche l’economia mondiale si è accorta dei rischi e dei danni che i cambiamenti climatici causano alla crescita economica. Vi è, infatti, un’attenzione particolare da parte degli investitori e degli economisti così come anche delle Banche centrali. Questo perché è stato evidenziato che i rischi derivanti dal cambiamento climatico, dalla perdita di biodiversità, dal degrado delle condizioni sociali e dalla qualità della gestione delle imprese – i cosiddetti rischi ambientali, sociali e di governo societario (environmental, social and governance, ESG) – influiscono sulla crescita effettiva e potenziale dell’economia.
Notiamo, infatti, che a livello globale è aumentata l’attenzione degli investitori per i fattori ESG. Un’indagine del 2022 del World Economic Forum ha rilevato che i profili ambientali e di sostenibilità figurano tra le categorie di rischio più rilevanti, in termini sia di probabilità sia di severità degli impatti potenziali. Nel 2020 gli investimenti finanziari sostenibili, secondo il rapporto della Global Sustainable Investment Alliance, che costituivano circa il 36 per cento degli attivi globali in gestione, avevano raggiunto 35,3 trilioni di dollari, un valore più che doppio rispetto a quello del 2016.
È il concetto di scopo dell’azienda, pubblica o privata, che si è evoluto. Già il presidente di BlackRock Larry Fink ha scritto che per prosperare nel tempo, ogni azienda non deve solo fornire risultati finanziari ma anche mostrare come fornisce un contributo positivo alla società, compreso l’impatto ambientale.
Insieme ai fattori ESG, vi è comunque un forte interessamento per il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese.
Il rispetto della dignità dell’uomo in tutte le sue esternazioni è consacrato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 e in altri strumenti come il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966.
Nonostante siano passati più di settant’anni, la protezione di tali diritti incontra ancora diversi ostacoli ed in diversa misura nei vari Stati. Ad incidere maggiormente sulla mancanza di effettività del rispetto dei diritti umani vi è lo squilibrio tra sistemi economici e politici e sistemi sociali, soprattutto per il forte impatto dovuto alle attività industriali, commerciali e finanziarie delle imprese.
Si è allora rilevato che uno strumento determinante per affermare lo sviluppo dei diritti umani nei vari Stati era quello di coinvolgere direttamente anche le imprese.
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato, quindi, nel 2011 i “Principi Guida su Impresa e Diritti Umani” i quali si fondano su tre pilastri:
- L’obbligo dello Stato di proteggere i diritti umani;
- La responsabilità dell’impresa di rispettare i diritti umani;
- L’accesso alle misure di rimedio.
Gli Stati devono non soltanto adottare leggi destinate ad esigere dalle imprese il rispetto dei diritti umani (ambiente, parità di genere, lotta al caporalato), ma devono anche incoraggiare le imprese e fornire degli orientamenti effettivi su come rispettare i diritti umani.
Per ottenere i migliori risultati, gli Stati devono prescrivere la “due diligence” in materia di diritti umani.
La responsabilità di rispettare i diritti umani costituisce uno standard globale di condotta per tutte le imprese, ovunque esse operino. Devono prevenire o mitigare gli impatti negativi sui diritti umani direttamente collegati alle loro operazioni anche se non abbiano contribuito a tali impatti.
Le imprese devono conoscere i diritti umani e dimostrare di rispettarli. Per fare questo devono attivare specifiche politiche e procedure nonché un processo di due diligence specifico, che permetta di identificare, prevenire e mitigare i propri impatti negativi sui diritti umani.
Proprio recentemente, il 31 maggio u.s. il Parlamento europeo si è riunito in seduta plenaria per discutere il progetto di relazione della Commissione giuridica (JURI) – competente per merito – sulla proposta di direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (c.d. due diligence). La relazione è stata adottata al termine di un lungo e articolato dibattito con 336 voti a favore, 225 voti contrari e 38 astensioni.
Sulla base del testo adottato, le imprese saranno obbligate a identificare e ove necessario prevenire, inibire o mitigare l’impatto negativo delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente, comprese le attività dei loro partner commerciali, non solo i fornitori ma anche le attività legate alla vendita, alla distribuzione e al trasporto.